Natura morta con figure



E' una donna più che matura. Ha molti anni alle spalle. Ma la bambina che nasconde dentro il suo cuore si fa sentire più forte che mai, al punto da prendere il sopravvento, a volte.

E' lei, quella bambina, non la donna, che accende la scintilla negli occhi e quel sorriso che sembra appagarsi delle vicende del mondo. Quella bambina nascosta in un corpo da vecchia è capace di trasformare le rughe in righe, in segni e parole cotte dal sole per raccontare la vita. In un fulgore di integrità e bellezza. Basta poco per gioire, se si mantiene vivo lo stupore bastano tre pesche in festa sul verde della tovaglia.



C'è stata una volta che la bambina interiore (ed è come se fosse ieri... corre veloce il tempo...) si è inebriata della sua pelle. Quella volta la bambina stava nascosta in un corpo da adolescente e si beava come un Narciso, naturale e senza colpe, davanti a un bicchier d'acqua che la osservava trasparente.




“Cose successe anni fa. Ma dentro di me non c'è il tempo, il prima e il poi.” dice a se stessa la donna mentre ascolta la bambina interiore “scalpitavo impazienza e rabbia per un'incomprensione ai tavolini di un bar. La sigaretta fumava e disegnava danze grigie come fantasmi per sedare le mie energie prorompenti, l'eccesso dell'esserci, mentre solo le bottiglie e i calici, proprio perché non parlavano, avevano la forza di starmi a guardare...”




“Un'altra volta ho scoperto che il mio volto era cambiato, la vita si era fatta carne, come in uno studio di figura del '600 napoletano o come in una foto segnaletica che prelude al martirio dell'evanescenza e della caducità.”




“In ognuna di quelle opere sono una donna diversa, ma alla fine sono sempre io. Un'altra volta, tanti anni fa, ero talmente giovane da immaginarmi ragazzo, chino come un musulmano in preghiera, nella calma pomeridiana, per ascoltare il torpore della solitudine, all'ombra della cucina, e l'eco della tavola, il silenzio delle conversazioni che si erano appena spente, quando gli adulti erano andati di là a riposare... e a quei tempi mi sentivo proprio un ragazzo... e aspettavo di svilupparmi (così si diceva di noi femmine in erba)... e solo ora, dall'alto degli anni, mi accorgo quante vite... e il tempo che vuole mangiarsele tutte...ma io lo frego...“




Tutte assieme queste opere sembrano comporre un diario di viaggio. Ma il territorio che descrivono non è uno spazio, è il tempo. Attese, attimi di inabissamento dentro il proprio sentire, imbambolamenti... personaggi che hanno interrotto il fluire degli istanti e stanno in sospeso, stupiti o istupiditi.

In posizione eccentrica gli oggetti sono i loro testimoni muti: bottiglia, bicchieri, tazza, brocca, caffettiera, pennelli, tovaglia... oggetti che rispecchiano i corpi in un gioco di sguardi che si svolge con naturalezza, sfumando armonioso, silenzioso e morbido, e ricordandoci che le cose davvero importanti sono molto semplici. Il loro nutrimento è quella purezza che distinguerà sempre la realtà dal reality... il vissuto dalle recite nevrotiche.

Queste opere parlano. Hanno una loro vitalità, e non aspettano altro che di entrare in confidenza con noi. Per dialogare con loro possiamo provare a metterci in risonanza, gustando il piacere della conversazione. Perché è quel piacere che ci fa innestare le nostre storie per rendere ancora più bella l'esperienza della visione.



Elvio Annese






















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